CANI-Capire e farsi capire

Necessità di “dialogo”

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  1. Di&Gi
     
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    Considerazioni di un allevatore fra psicologia e filosofia

    Capire e farsi capire
    Mai sottovalutare l’importanza della propria sensibilità. Necessità di “dialogo”


    Ho vissuto, fin dal mio primo giorno, a stretto contatto con il dobermann.
    Non si tratta del diffuso e comune “aver avuto un cane in casa” (esperienza, già di per sé, determinante); mi riferisco all’essere cresciuto in un ambiente dove la passione per l’allevamento ha segnato profondamente un ordinario percorso famigliare.
    Coinvolgimento totale in un amore condiviso ove la quasi essenzialità delle scelte domestiche è orientata a questo (dalla più banale organizzazione dei fine settimana all’accollarsi impegnativi investimenti economici come, ad esempio, terreno e strutture per un centro addestramento). Una dedizione quasi esclusiva, calata in un impegno paziente e quotidiano alla ricerca di successi che confermassero i risultati ottenuti nel perfezionamento selettivo del nostro allevamento (e, di conseguenza, della razza in generale).
    Cresciuto alla luce dei suddetti dogmi, appare immediatamente lampante, semplicemente rifacendosi ai macro concetti di genetica evolutiva, come l’ambiente descritto possa aver mutato fenotipicamente il sottoscritto…
    Certamente il patrimonio genetico si è mostrato ben disposto alla raccolta di queste “informazioni” provenienti da mondo esterno ed ha positivamente reagito agli stimoli, lasciando emergere e distinguere requisiti (o virtù), imprescindibili, per un onesto e trasparente dialogo con questo.
    Ciò premesso vado a riallacciarmi alle definizioni riportate in principio. SENSIBILITA’ ha rappresentato, e rappresenta a tutt’oggi, per chi scrive, il “mezzo” indispensabile ed ineluttabile di comunicazione con il cane.
    Fin qua (per gli addetti ai lavori) nulla di nuovo… se non che, ai più, sfugge la peculiarità essenziale di tale requisito: Sensibilità non ha un “si” e un “no”, ma un “+” e un “-”.
    E’ questa l’essenza che determina prima di tutto il resto (formazione, attitudine, esperienza) l’enorme divario tra l’educatore/addestratore cinofilo “professionista” ed il resto degli “improvvisati”.
    Questi ultimi (che oggi troviamo ad ogni angolo di paese, forgiati di attestati ufficialmente non riconosciuti, pescati ad un corso “formativo” della durata di un fine settimana), nel momento in cui si apprestano ad iniziare l’attività dovrebbero farsi la seguente domanda: NON “ho la sensibilità necessaria per questo lavoro?” (sarebbe comunque utile a restringere il cerchio), ma “QUANTA sensibilità ho per questo lavoro?”…
    Converrete che tale caratteristica non può che essere inversamente proporzionale alla possibilità di successo raggiungibile: più è spiccata, minore è la difficoltà nel “comprendere” e minore è la “sofferenza” del cane.
    Si badi che non sto parlando di sofferenza “fisica”, bensì “psichica”.
    Trattasi di quel tipo di malinconia che leggo negli occhi di molti dei cani che giungono al centro per la prima volta; palesano l’espressione del disadattamento, del disagio ambientale, dell’inquietudine… stato emotivo frutto dell’incomprensione cane/uomo, frutto degli eccessi di “umanizzazione”, frutto di smisurati comportamenti ansiosi ed iperprotettivi, frutto dell’alienazione degli istinti, pressoché inutili in un ambiente “innaturale”.
    E’ grazie alla capacità di “sentire”, di “intendere” tali emozioni che possiamo restituire al cane serenità ed autonomia, è solo così che possiamo restituirlo alla sua “Natura”.
    La realizzazione del “dialogo” tra cane e padrone regala vita nuova ad entrambi. “L’attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi” (mi rifaccio alla definizione corrente sopra riportata) consente, sì, la corretta applicazione delle tecniche d’intervento ma ci deve permettere, soprattutto, di istruire e trasmettere almeno parte di questa agli individui che, in primis, si relazioneranno col cane…
    Non si tratta di un segreto da proteggere egoisticamente ma di una qualità da scoprire, conoscere ed accrescere con premura.
    Sensibilità si esprime in modo attivo ma la si vive pure di riflesso: è capacità di dialogo tramite i sentimenti e, parimenti, capacità d’ascolto degli stessi.
    Sinora, in effetti, ho espresso l’argomento unicamente dal punto di vista “umano” ma questa dote è ben più marcata nel mondo animale (e nella natura stessa), come “particolare attitudine a risentire gli effetti anche più insignificanti di una condizione affettiva o emotiva”.
    La nostra misera “aridità” porta a considerare quale mezzo prioritario della comunicazione umana la “voce”, ben supportata da un’incisiva gestualità del corpo.

    Il cane, che certo si esprime con il linguaggio del corpo, sviluppa ed accresce a livello esponenziale, rispetto all’uomo, la propria comunicazione emotiva: le emozioni hanno, per il primo, un peso specifico pari o, addirittura, superiore alla gestualità (argomentabile scientificamente, ma eviterò di soffermarmi sul differente utilizzo del cervello mammaliano…). La Sensibilità è necessaria per il ritrovamento del proprio “equilibrio naturale”.
    Dobbiamo dare al cane la possibilità di ritrovare il suo “equilibrio naturale”, ritagliandosi il giusto spazio nell’ambiente moderno (definito “sociale”) che gli abbiamo edificato; spetta a noi cercare di adeguarlo alle nuove e continue sollecitazioni (stress) cui è sottoposto.
    Uso il termine adeguamento (o adattamento) volutamente; l’equilibrio deve essere trovato attraverso rinnovata conoscenza di ciò che ci circonda.

    L’errore comune sta proprio nel creare un ambiente falsamente protettivo, ovattato, riproduzione viziata della realtà. Vero che tra le mura domestiche, sul divano, può ritenersi affettuoso, delicato, affidabile, ma potrebbe rivelarsi una sorta di equilibrio precario e transitorio, sfociabile in un atteggiamento asociale (timoroso od aggressivo) al primo accostamento ad un ambiente nuovo (le famose “situazioni che non conosce”…).
    Consentitemi il paragone: è come riempire di fallace autostima i nostri figli che, sempre più precocemente (grazie a questa artificiosa fiducia) contestano con sciocca arroganza genitori ed insegnanti.
    La stessa autostima che li vede, subito dopo, elemosinare “richieste di amicizia” su Face Book, vittime delle loro insicurezze in un ambiente dove la superficialità (che gli abbiamo insegnato ad inseguire…) vale molto di più della concretezza.
    Nelle righe precedenti ho limitato l’esposizione ai comportamenti del cane “deviati” per opera dell’uomo, non addentrandomi nell’argomento “genotipo” etc…
    Mi sono attenuto ad una trattazione ambiente/ fenotipo per dimostrare che, già in un soggetto privo di tare “estreme”, possono sussistere comportamenti “superficiali”, atti a fuorviare l’interpretazione (la “percezione”) da parte di un educatore/addestratore poco “sensibile”: atteggiamenti “indotti” che mascherano o alterano le reali proprietà caratteriali
    . Si sarà capito: sono tenacemente ed intimamente legato a questo “vocabolo”. Non mi ritengo, per caratteristiche intrinseche, un animo sensibile; sono, tuttavia, convinto che l’aver vissuto a contatto con una razza espressiva ed emotivamente viva come il dobermann abbia marcato una caratteristica presente.
    Non riesco ad abituarmi (grazie al Cielo) a situazioni grottesche create dall’incomprensione tra uomo/cane o, peggio ancora, alla visione di “educatori improvvisati” che applicano teorie bizzarre enfatizzando ulteriormente relazioni già critiche.
    La professionalità è fondamentale, ma a volte basterebbe cominciare dal buonsenso…


    Augusto Rosi
     
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0 replies since 27/6/2009, 23:56   54 views
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