Punteggiatura e gramatica ITALIANA

A cura di Cinzia D'Antonio

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    La punteggiatura:





    ogni arte, la letteratura, la pittura, la musica ecc., ha i suoi strumenti del mestiere, delle regole fisse da seguire scrupolosamente per ottenere un risultato soddisfacente - senza nulla togliere all’estro dell’artista e alla sua creatività. Una semplice analogia, in attinenza con l’argomento trattato, la punteggiatura, potrebbe essere l’utilizzo delle pause nella musica - parlando di scrittura, non si scenderà nei dettagli riguardanti la musica, lasciati agli esperti in materia. Il testo scritto si può paragonare ad uno spartito musicale, mentre i segni di interpunzione potrebbero essere le pause tra un suono e l’altro espresse da segni grafici specifici. Come all’interno di uno spartito musicale ci sono delle pause per far prendere fiato al musicista, così per la scrittura ci sono dei segni grafici convenzionali che regolano il suono delle parole in un testo.

    Infatti, la punteggiatura o interpunzione è l’insieme dei segni grafici utili per lo scandire delle parole, delle frasi, dei periodi, in modo che il lettore possa riprodurre il più fedelmente possibile le intonazioni espresse dalla lingua parlata.

    Man mano di seguito verranno analizzati questi segni e il loro utilizzo.




    Il punto ( . )



    il punto o punto fermo serve per indicare una pausa lunga o uno stacco netto, si mette alla fine di una frase di senso compiuto o di un periodo.

    È un segno di punteggiatura molto forte, infatti alcune volte viene utilizzato per dare risalto ad alcune parti del discorso prendendo il posto di altri segni di interpunzione come, il punto e virgola, i due punti, la virgola. Questa tendenza è d’uso soprattutto nel modo di scrivere giornalistico:

    «I disturbi non sono però legati solo alla sfera emotiva. Sono anche fisici» (L’Espresso, 4.5.1986, p. 183), in questo caso si tratta di una coordinazione per asindeto in cui si sarebbero potuti usare anche la virgola, il punto e virgola e i due punti);

    «L’incontro è stato spiccio. Il dialogo breve. Troppo» (La Repubblica, 19.8.1986, p. 1), il punto, tradizionalmente, dovrebbe separare frasi verbali autonome, in questo caso isola componenti nominali per metterle in evidenza;

    «Il resto è scritto in trentaquattro storie di violenza. Muri saltati, allarmi disinnescati, feroci alsaziani eliminati con il veleno» (Il Giornale, 21.8.1986, p. 7), l’enumerazione descritta avrebbe richiesto solitamente, dopo «violenza», i due punti.

    Il punto si usa anche nelle abbreviazioni di alcune parole, da distinguersi a seconda di dove avvengono:

    per compendio, se riportano una o più lettere iniziali: ecc. o etc. (alla latina) “eccetera”, dott. “dottore”, avv. “avvocato”, ing. “ingegnere”, E.V. “Eccellenza Vostra”, e così via;

    per contrazione delle lettere iniziali e finali. In questo caso il punto si colloca all’interno dei due gruppi grafici: gent.ma “gentilissima”, ill.mo “illustrissimo”, chiar.mo “chiarissimo”, f.lli “fratelli”, s.lle “sorelle”, ecc. Nel caso in cui la contrazione riduce le lettere rimanenti a due o tre unità, come per cfr “confer”, cioè “confronta” e dr “dottor”, il punto si pone alla fine (cfr., dr.) ovvero si sopprime (cfr, dr).

    per sequenza consonantica, quando risultano dalla consonante iniziale seguita da una o più consonanti: pag. o p. “pagina”, pagg. o pp. “pagine”, sg. “seguente”, sgg. “seguenti”, ps. “poscritto” (deriva dal composto latino pŏst scrīptum).

    Quando una frase finisce con un parola abbreviata, il punto fermo non si mette in quanto inglobato nel punto dell’abbreviazione. Per esempio in una frase che si conclude con ecc., si vedrà scritto un unico punto e non due punti (ecc. e non ecc..).

    Il punto è utilizzato anche nelle sigle: C.D., “Corpo Diplomatico”; D.L., “Decreto Legge”. Mentre sempre senza punto le sigle automobilistiche, italiane ed estere. Nel caso di sigle complesse, in cui per decriptarle o per facilitarne la pronuncia si aggiungono una o più vocali alle consonanti che le compongono, il punto manca: CONI, “Comitato Olimpico Nazionale Italiano”, CONAD, “Consorzio Nazionale Dettaglianti”.



    La virgola ( , )



    la virgola indica una pausa breve. È il segno di uso più comune e articolato. Si usa nei seguenti casi:

    a) Nelle enumerazioni, nelle descrizioni e nelle frasi coordinate per asindeto, cioè senza l’uso della congiunzione correlativa e; mentre nelle serie collegate mediante sindesi, ossia unità sintattiche separate da una congiunzione coordinativa e, né, o, ma, ecc., la virgola in genere manca, soprattutto se si tratta di elementi all’interno della stessa frase.

    Nelle enumerazioni prima di eccetera e dell’abbreviazione ecc. la virgola può esserci (caso più comune) oppure no.

    b) Negli incisi di qualsiasi tipo. La tipologia può essere varia: la virgola contrassegna il semplice inciso costituito da una congiunzione, «Guarda che panorama, però, una vista mozzafiato»; oppure può isolare strutture complesse «l’epoca storica, quella italiana dei primi del novecento, è stata segnata da fatti rilevanti…».

    c) Prima di un’apposizione: «il Prof. Fortini si era recato in vacanza al lido di Ostia, località balneare del Lazio»; prima e dopo un’apposizione situata al centro di una frase: «Valentina è partita con il primo treno per Milano, sua città natale, dalla quale mancava da tre anni».

    La virgola, di norma, non va usata all’interno di blocchi unitari di parole, per esempio tra il soggetto e il predicato, tra il sostantivo e l’aggettivo. Tuttavia, questa regola viene meno, quando si vuole mettere in evidenza uno o più elementi di un sintagma, invertendo l’ordine sintattico abituale delle parole. Per esempio: «camminava, Antonio, senza ombrello, sotto la pioggia», la virgola tra il predicato e il soggetto è richiesta dall’inversione; prolessi dell’oggetto «Dài retta al Saggio, Fabio quel testo, leggilo subito», in questo caso si ha una prolessi dell’oggetto, seguito da una virgola, che viene ripreso nella frase successiva col pronome lo.

    d) Prima e anche dopo un vocativo assoluto: «Paolo, muoviti!»; «Ricordati, caro Lucio, di fare gli auguri alla zia».

    e) Per separare una proposizione da una coordinata introdotta dalle congiunzioni ma, tuttavia, però, anzi: «oggi il cielo è nuvolo, ma non piove».

    f) Per separare da una proposizione principale una frase subordinata introdotta da anche se, per quanto, poiché, benché, giacché, sebbene, quando, mentre, se (con valore ipotetico): «ti ho comprato un maglione nuovo, anche se non ne avevi bisogno». La virgola non deve essere usata tra proposizione principale e proposizione soggettiva, oggettiva o interrogativa indiretta, mentre con le subordinate relative, in taluni casi, la virgola svolge una funzione distintiva e la sua presenza o assenza modifica il senso di una frase: «I giovani che non lo conoscevano sono rimasti sorpresi dalle sue doti affabulatorie» ( = non tutti i giovani, ma solo quelli che non lo conoscevano); «I giovani, che non lo conoscevano, sono rimasti sorpresi dalle sue doti affabulatorie» ( = nessuno dei giovani presenti lo conosceva).



    Il punto e virgola ( ; )



    indica una pausa più lunga della virgola e più breve del punto. Generalmente si usa in alternativa al punto per separare due preposizioni coordinate complesse collegate da una continuità di contenuto; in alternativa alla virgola, per non generare equivoci, nelle enumerazioni o nelle elencazioni, quando i singoli elementi sono seguiti da un’apposizione o da un’espansione più o meno lunga.




    I due punti ( : )



    i due punti sono un segno di interpunzione molto espressivo, più che segnare una pausa, mettono in evidenza una certa parte del discorso cui si vuole dare un rilievo particolare. Infatti, sono utilizzati con la funzione di specificazione; illustrano, argomentano, chiariscono quanto affermato in precedenza. Si usano:

    per introdurre una citazione o un esempio, con questa funzione i due punti sono spesso utilizzati in ogni manuale didattico;

    per introdurre un discorso diretto: «Valeria disse: “Sono stanca di aspettare!”»;

    per introdurre un elenco: «Gli ingredienti per una torta di mele sono: 125 gr. di burro, 125 gr. di zucchero, 3 uova, succo di limone, 200 gr. di farina bianca, 6 gr. di lievito e 3 mele».




    Il punto interrogativo ( ? ) e il punto esclamativo ( ! )



    indicano rispettivamente l’interrogazione diretta («Come stai?») e l’esclamazione («Che spettacolo!») in modo che il lettore capisca subito che intonazione dare alla frase; il punto interrogativo dà un tono ascendente alla voce, mentre il punto esclamativo un tono discendente.

    Il punto interrogativo e il punto esclamativo possono essere usati insieme per esprime incredulità o stupore; per esempio, quando si riprende un’espressione detta da altri che reca stupore per qualsiasi motivo: «Sono piovute rane dal cielo?!».




    I puntini di sospensione ( … )



    i puntini di sospensione o tre puntini si usano, sempre nel numero fisso di tre, per indicare sospensione, reticenza, allusività: «Veramente… se tu avesti saputo… mi fu ordinato di non parlare…»;

    possono essere posposti, ma anche anteposti, e in questo caso inseriscono la frase che segue di un discorso iniziato in precedenza per dare fluidità al discorso: «È sicuramente una brava ragazza… - … è attenta e scaltra»;

    indicano l’interruzione di un’elencazione che potrebbe proseguire, ma che si ritiene inutile continuare: «Luana si era vestita per andare in spiaggia. Indossava degli occhiali da sole, un costume rosso, delle scarpe infradito…». In questo caso si può usare anche ecc. al posto dei tre puntini di sospensione.

    I puntini di sospensione si usano anche nelle citazioni per indicare l’omissione di un passo. In quest’ultimo caso, per non creare confusione, i puntini sono inseriti entro parentesi tonde o quadre: (…) oppure […].




    Il trattino ( - )



    il trattino o lineetta è un segno grafico costituito da un piccolo tratto orizzontale (-) che ha vari utilizzi:

    al posto delle virgolette dopo i due punti, per introdurre un discorso diretto, mai per una citazione; oppure al posto delle parentesi tonde, in un inciso. Per introdurre un discorso diretto generalmente si usa un solo trattino di apertura, ma quando al discorso diretto segue una didascalia, per esempio il nome dell’interlocutore o il commento del narratore, compare anche il trattino di chiusura;

    per segnalare un legame tra le parole o parti di parole, infatti, si può trovare a fine riga per indicare che una parola si divide per andare a capo (nell’uso manoscritto corrisponde al segno = ), per indicare una relazione che intercorre tra due termini («A-B»), per unire una coppia di aggettivi giustapposti, dei quali il primo è sempre maschile singolare («gli aspetti linguistico-filologici»), per unire una coppia di sostantivi («la legge Rognoni-La Torre», «il derby Roma-Lazio», «gli incontri governo-sindacato»), in coppie di sostantivi-avverbi («Milano-bene»), con prefissi o prefissoidi, se sono composti occasionali («anti-apartheid», «anti-droga», mentre altri composti si sono stabilizzati «antiaerea»).




    Le virgolette ( « » ) ( “ ” ) ( ‘ ’ )



    L’argomento ha bisogno di essere trattato con un’attenzione particolare, poiché la scelta tra i vari tipi di virgolette è legata a criteri grafici che possono variare da editore a editore. Nei testi stampati le virgolette più usate sono quelle basse o caporali «», mentre nella scrittura a mano quelle alte “”. Inoltre, entrambe le coppie tornano utili per le citazioni interne ad altre citazioni, cioè, quando si riporta un discorso diretto o una citazione all’interno di un altro discorso diretto: quelle basse all’esterno, quelle alte all’interno. Infine, gli apici ‘’ sono utilizzati per segnalare l’uso allusivo, ironico, traslato, di una parola o di una qualsiasi espressione, anche se possono essere sostituiti dalle virgolette alte.

    In alcuni casi concorre l’uso del corsivo con le virgolette. Per esempio nei titoli: «I Viceré» o I Viceré; nelle citazioni brevi: «D’in su la vetta della torre antica» o D’in su la vetta della torre antica. È preferibile lasciare la forma corsiva per l’utilizzo delle parole straniere o dialettali in un testo italiano; come anche quando si vuole sottolineare l’importanza di una forma linguistica.

    Comunque, l’importante, nella stesura di un testo, è scegliere un criterio e utilizzarlo in tutti i casi in cui si ripropone.

    Quindi, le virgolette basse o (caporali) «», alte “” o semplici (apici) ‘’, si usano, sempre a coppia, nei seguenti casi:

    per delimitare un discorso diretto;

    per delimitare una citazione in cui si riportano le parole precise dette da qualcuno;

    per evidenziare una parola o per contrassegnare l’uso particolare (allusivo, traslato, ironico), di una qualsiasi espressione.



    http://www.galassiaarte.it/
     
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